Essendo che finì dritto nel peggio In quell'istante dall'indicibile odore, D'esser carcassa per marcescente ormeggio S'accorse con assai dolente stupore. Al porto dei rottami presi in ostaggio Da un vento grato solo a qualche uccello Capì che non era un sogno nè un miraggio All'urto con la banchina e al duro scrollo. Denso il mare che no, non ondeggia più (DERIVA!) Limaccioso come un vizio e niente più (FINITA!) Denso il mare che no, non disperde più (DERIVA!) Paludoso e osceno stagno, niente più (FINITA!) Sentì una falla aprirsi e captò un dileggio, Come ci fosse alcuno al suo tracollo. La chiglia del suo charme (un guscio greggio) Lo dette in pasto a un mare mai satollo. Denso il mare che no, non ondeggia più (DERIVA!) Limaccioso come un vizio e niente più (FINITA!) Denso il mare che no, non disperde più (DERIVA!) Paludoso e osceno stagno, niente più (FINITA!) E si laciò succhiare da quel peggio Con una smorfia di vacuo splendore Legandosi a quel marcescente ormeggio: Impiccato! (senza mostrar dolore) Ma poi la corda, marcia, si sfilacciò. La presa al collo lentamente allentò. L'abietto si staccò sprofondando Per toccare tristemente il fondo.